Sunday, January 4, 2009

Una gigantesca riserva

Il Leviatano, incarnazione del potere maligno del collettivismo, è il vero grande nemico dell'umanità, un parassita spietato pronto a qualsiasi delitto per perseguire il suo scopo. Chiunque si opponga al suo governo dev'essere sterminato, chiunque non si conformi eliminato, mentre chi si fa strumento letale della sua brama di conquista sarà ricompensato e glorificato nei secoli, portato ad esempio di virtù, in un sovvertimento di qualsiasi valore umano tradizionale.

Agli ingenui queste affermazioni possono apparire esageratamente radicali e perentorie, ma la storia è disseminata delle sanguinose prove che ne dimostrano la verità. Una di queste prove, lampante e tragica, è lo sterminio dei nativi americani, riassumibile nell'ignobile massacro di Wounded Knee Creek, qui raccontato da William N. Grigg.
___________________________

Di William Norman Grigg

“Ciò che accadde al mio paese sta accadendo anche al vostro.... Voi non lo sapete neanche, ma siete gli indiani del ventunesimo secolo e questo è molto triste.”
~ Russell Means, attivista indiano ed agevolatore della Repubblica Indipendente di Lakota di recente creazione

Poco prima che l'esercito di Stati Uniti massacrasse centinaia di affamati, disperati Sioux che erano stati radunati sulle sponde gelate del Wounded Knee Creek nel Dakota del Sud, l'Ufficio del Censimento annunciava la scomparsa di una linea di frontiera per la prima volta nella storia americana.

Il Destino Manifesto aveva finito lo spazio, e l'Impero Americano – un termine utilizzato sfrontatamente nella letteratura del trionfalista del periodo – ora cingeva l'intero continente nordamericano ed i suoi governanti erano liberi di conferire le benedizioni della civilizzazione sulle masse incolte al di là delle nostre coste.

I primi nella lista per questo non richiesto privilegio furono i cubani ed i filippini. I cinesi ed i messicani avrebbero assaggiato – nel senso di essere sottoposti ad alimentazione forzata – gli sgradevoli frutti della benevolenza imperiale americana, prima che Washington, sotto il regno dell'indicibilmente vile Woodrow Wilson, spedisse centinaia di migliaia di missionari per la democrazia armati sui campi di battaglia d'Europa.

L'intervento americano ruppe un impasse nella Prima Guerra Mondiale che avrebbe potuto portare ad una pace negoziata, preservando così la Cristianità. La “vittoria” alleata contribuì a coltivare diverse perniciose specie di totalitarismo e di nazionalismo bellicoso, vaccinando così efficacemente l'umanità contro un'insorgenza di pace e di normalità. Questo si tradusse in una lista senza fine di imprese imperiali all'estero, con l'uso da parte dell'Èlite di Governo Americana di mezzi sia relativamente subdoli (corruzione per mezzo del sussidio estero) che volgari (bombardamenti e altre forme di letale “umanitarismo”) per propagare la propria visione della giustizia sociale intorno al globo.

E mentre Washington verificava con passione i difetti di altri regimi, i beneficiari originali della sua missione di civilizzazione – i resti di varie comunità indiane americane – erano consegnati ad un'esistenza sventurata contrassegnata da un'irrimediabile povertà, da tassi di mortalità abissali e da una pervasiva disperazione. La condizione degli indiani americani offriva un contrappeso di realtà alla retorica auto-estasiata americana, ed il sistema delle riserve era una specie di ritratto di Dorian Grey per l'immagine del regime come guardiano della libertà e della giustizia. E l'omicidio di massa dei Sioux al Wounded Knee fu una specie di cerimonia di laurea per il regime allorché si preparava ad esportare la violenza imperiale all'estero.

Circa tre anni dopo il massacro del dicembre 1890 al Wounded Knee, lo storico Frederick Jackson Turner presentò al pubblico dell'Esposizione Colombiana a Chicago la sua presto famosa “tesi della frontiera” – ovvero, che la conquista della frontiera occidentale, che chiamava “il punto di unione fra brutalità e civiltà,” aveva portato a termine la prima fase della vita della nazione americana. La conquista della frontiera, sosteneva Turner, aveva rifinito un carattere distintamente americano, instancabile ed ingegnoso, ferocemente individualista e sprezzante verso il potere centralizzato e l'autorità gerarchica.

L'orazione di Turner fu, per alcuni versi, una versione accademica del noto trucco da cantante da camera per invitare il suo pubblico ad “applaudirsi.” Allora, come oggi, gli americani volevano vedersi come gente dura e indipendente, anche quando stavano partecipando ad un furto di terra militarizzato, federalmente sovvenzionato, svergognato e senza precedenti.

È vero, i coloni ed i pionieri erano spesso persone dure e coraggiose e non pochi tra loro si disimpegnarono onorevolmente sia nel tragico combattimento con gli indiani che nell'onesto commercio con loro quando si realizzò la pace. Ma preso complessivamente, il Destino Manifesto rappresentò il trionfo del corrotto corporativismo.

In Westward the Tide, un'opera tipicamente degna, il romanziere Louis L'Amour, giustamente noto come il “Trovatore del West americano” (e un autodidatta i cui successi accademici erano facilmente pari a quelli del dott. Turner), cattura l'ambivalenza del periodo espansionista da Appomattox a Wounded Knee.

Il tipo umano dominante che si trovava sulla frontiera, scrive, “era un uomo scarno e dallo sguardo gelido che temeva Dio e nient'altro.... Aveva coraggio, durezza, e una volontà testarda che non esitava davanti a nessun problema perché troppo grande.... Era l'uomo che rifiutò di rimanere vicino ai fortini e per questo veniva spesso ucciso dagli indiani, sua moglie nutriva i suoi bambini con un fucile poggiato sulle ginocchia e lavorava i suoi campi con una pistola legata alle stanghe dell'aratro. Sfidava gli indiani, i grandi allevatori, i fuorilegge. Era il nidificatore, l'occupatore abusivo, l'uomo che si muoveva verso ovest.”

Che lo sapessero o meno, sottolinea L'Amour, i pionieri individualisti funsero da rompighiaccio per conto delle forze collettiviste.

“Le ferrovie venivano verso ovest grazie ai sussidi ed ai terreni regalati dal governo,” ricordava. “Non hanno avanzato mai di un passo senza la vendita di terra del governo, i soldi del governo da spendere e la protezione dell'esercito. [I pionieri] non chiesero la protezione di nessuno, o se sì, non a lungo, ma oltrepassavano l'esercito ovunque il loro percorso non fosse ostruito da una linea troppo serrata e dove si fermavano mettevano radici.”

E ovunque questi individualisti mettessero le radici, lo Stato Leviatano si materializzava rapidamente per installare il necessario apparato di conformità coercitiva. Questo processo è stato catturato dall'editore George A. Crofutt – un energico evangelista del Destino Manifesto – nella sua didascalia al dipinto del 1872 “American Progress” di John Gast.

La diffusissima litografia illustrava lo Stato americano come una formosa femmina dai capelli chiari e precariamente coperta da una veste diafana, con la fronte di alabastro cinta dalla “stella dell'impero,” che guarda verso ovest con un'espressione di benevola risoluzione mentre gli indiani terrorizzati fuggono terrorizzati davanti a lei. Sul suo braccio destro sta un libro intitolato “Scuole Comuni,” che Crofutt descrive esultante come “emblema della nostra educazione e testimone della nostra Illuminismo Nazionale.” Con la mano sinistra tesse la campagna con i “lunghi cavi del telegrafo, che spargeranno l'intelligenza per tutta la terra.”

Davanti a questa ragazza fascinosa ma onnipotente la terra è attraente, ma desolata; al suo passaggio sorgono città, “navi a vapore, manifatture, scuole e chiese, sopra cui fasci di luce fluiscono e riempiono l'aria – segni della nostra civiltà,” continua Crofutt. Dalle città “procedono le tre grandi linee continentali” della ferrovia federalmente sovvenzionata, così come un flusso di cavalieri pony express, di carri di pionieri, di diligenze, di cercatori d'oro, e di altri attratti irresistibilmente verso ovest.

Ma il vero fulcro di questa celebrazione artistica “della grandiosità e dell'impresa del nostro paese,” come la vede Croffutt, è la manciata di indiani che fuggono davanti alla “bella e avvenente Femmina” che incarna lo Stato americano.

“In fuga dal ‘progresso’ verso le acque blu del Pacifico sono gli indiani con le loro squaw, i loro papoose e le loro slitte,” scrive con parole che stillano disprezzo. Gli indiani “fuggono dalla presenza della meravigliosa visione. La ‘Stella” è troppo per loro.”

“American Progress,” come spiegato da Croffutt, accoppiava bigotteria civica con un appello manifesto a tre degli istinti più bassi: la semplice lascivia; l'impulso tribale verso il culto del potere collettivo; e la disumanizzazione di chi non fa parte della collettività scelta.

La bontà dell'America, nella lettura di Croffutt, è ratificata dalla ritirata degli indiani selvaggi. Parlando attraverso Matt Bardoul, uno dei suoi eroi da romanzo, Louis L'Amour ha dato voce ad una visione meno autocompiaciuta, concludendo che gli indiani si sono ritirati di fronte a “quella che alcuni potrebbero considerare una superiore barbarie.”

Nel 1874, due anni dopo che Gale aveva rivelato il suo ritratto propagandistico, George Armstrong Custer, un agente del “progresso americano,” guidò una forza di invasione nelle Black Hills del Dakota del Sud, un territorio considerato sacro dai Sioux e a loro promesso solennemente in perpetuo da un trattato meno di un decennio prima.

Come qualunque impiegato del Leviatano americano coerente, Custer considerava i trattati proprio come avrebbe fatto più tardi Lenin: delle croste di torta, fatte per essere rotte quando le circostanze lo richiedevano. Le Black Hills, Custer annunciò, erano piene d'oro “dalle radici dell'erba in giù.” Questo trasformò poche gocce di immigrazione clandestina nelle Black Hills in un diluvio, e Washington – fedele alla linea – decise che era venuto il tempo di riscrivere il suo trattato con i Sioux.

Nel settembre 1875, Washington convocò un congresso con i rappresentanti dei Sioux nella speranza che gli indiani (nella frase di Dee Brown) “avrebbero venduto la loro terra per evitare al governo degli Stati Uniti l'imbarazzo di dover rompere un trattato per ottenerla.”

L'atteggiamento della maggior parte dei Sioux fu riassunto in un gesto di sfida di Toro Seduto. informato del desiderio di Washington di comprare le Black Hills, Toro Seduto rispose prendendo una manciata di terreno e liberandolo nel vento. “Voglio che andiate a dire al Grande Padre che non voglio vendere alcuna terra al governo – nemmeno tanto così.”

Affrontato da un proprietario non interessato a vendere la terra, il governo fece quello che fa sempre: si preparò a rubare la terra e ad assassinare quelli determinati a difenderla. Le preparazioni cominciarono a “sbattere gli indiani nella sottomissione,” come disse l'ispettore indiano E.T. Watkins.

Naturalmente, non andò proprio in quella maniera quando le forze federali si scontrarono con un'enorme coalizione degli indiani delle pianure il giugno seguente in quella che i Sioux hanno chiamato la battaglia di Greasy Grass – o che i perdenti chiamarono la battaglia di Little Bighorn.

Dopo che il Settimo Cavalleggeri fu sbaragliato ed il suo vanesio e sanguinario comandante spedito all'inferno, il Leviatano diede il via ad una punizione collettiva. Non potendo di scovare Toro Seduto, Gall, Cavallo Pazzo e gli altri capi indiani che avevano battuto il suo esercito ed avevano sfidato la “stella dell'impero,” Washington autorizzò l'impenitente criminale di guerra generale William T. Sherman – il generale Westerman della guerra dell'Unione contro il Sud – a trattare tutti i Sioux nelle riserve come prigionieri di guerra. Questo significava che coloro che non avevano combattuto sarebbero stati puniti come rappresaglia per la vittoria degli indiani.

Anche se non furono mai battuti definitivamente sul campo di battaglia, i Sioux erano alla fine spezzati con il terrore, la pressione politica e la logica implacabile della demografia. Gli americani erano troppo numerosi per respingerli, il loro governo troppo potente per resistergli, i loro capi interamente senza pietà né scrupoli.

Cavallo Pazzo era determinato ad affrontare l'esercito federale, ma alla fine fece l'amara scelta di portare la sua gente nella riserva per evitare l'inedia. Quando seppe che lo stesso governo che aveva rubato le sue terre ed aveva ucciso la sua gente stava arruolando Sioux per uccidere i Nasi Forati del capo Giuseppe – una tribù nordoccidentale che sperimentava lo stesso trattamento per mano dell'impero – Cavallo Pazzo minacciò di ribellarsi e lasciare la riserva.

Quando un informatore venne a sapere dei piani pazzeschi di Cavallo Pazzo, il capo fu “arrestato” dalla polizia dell'agenzia indiana – che comprendeva diversi Sioux Quislings, compreso Piccolo Grande Uomo – e quindi assassinato da un soldato dell'esercito americano a Fort Robinson.

Dopo la morte di Cavallo Pazzo nell'autunno del 1877, i suoi genitori – che facevano parte di una banda di Sioux che sperava di ritirarsi nel Canada e di trovarvi rifugio con l'esiliato Toro Seduto – seppellirono il corpo del loro figlio vicino ad un torrente chiamato Wounded Knee, in un pezzo di terra che presto sarebbe diventato la riserva indiana di Pine Ridge.

Toro Seduto fuggì in Canada dopo la battaglia di Greasy Grass nella speranza che la sua gente sarebbe stata protetta come sudditi della Corona Britannica. Tuttavia, l'intervento di Washington impedì al Grande Capo ed ai suoi seguaci di ottenere un pezzo di terra adatta. Nel luglio 1881, Toro Seduto seguì Cavallo Pazzo, Nuvola Rossa, Cane Rosso, Coda Pezzata ed altri capi Sioux nella scelta di arrendersi per non morire di fame.

Incarcerato a Fort Randall in violazione delle promesse di un trattamento decente, la resistente dignità di Toro Seduto risultò essere un ostacolo per i commissari indiani federali, che volevano assicurarsi che la resistenza dei Sioux fosse stata spezzata per sempre. Nella sua prima riunione con i commissari, Toro Seduto trattò i burocrati con disprezzo regale, li rimproverò beffardo di “comportarsi come uomini che hanno bevuto del whisky” alla richiesta che i Sioux consegnassero formalmente le agognate Black Hills.

Apparentemente, la preoccupazione per il destino della sua sofferente banda di seguaci indusse Toro Seduto a moderare il suo linguaggio in una riunione successiva. Prevedibilmente, i commissari indiani non erano inclinati a ricambiare; invece, sfruttarono l'occasione per rimproverare Toro Seduto per la sua sfida e arringarlo sulle molteplici glorie dello Stato Imperiale.

“Non siete un grande capo di questo paese,” lo istruì il senatore repubblicano dell'Illinois John Logan. “Non avete seguito, potere, controllo e diritto ad alcun controllo. Siete in una riserva indiana soltanto per concessione del governo. Siete nutriti dal governo, vestiti dal governo, i vostri bambini sono istruiti dal governo e tutto ciò che oggi avete e siete è merito del governo.... Il governo nutre e veste ed istruisce i vostri bambini ora, e vuole insegnarvi a diventare agricoltori, ed a civilizzarvi, e rendervi uguali agli uomini bianchi.”

Logan esternò questo sermone totalitario decenni prima che Mussolini incorporasse la stessa visione del mondo nel suo credo fascista: “tutto all'interno dello Stato, niente al di fuori dello Stato, niente contro lo Stato.”

Alla fine, con l'applicazione della sua tattica preferita – negoziazione con l'estorsione, sotto forma della minaccia di lasciar morire di fame gli indiani se non avessero rinunciato alle loro terre – Washington riuscì ad assicurarsi la proprietà delle Black Hills. Da un atto del congresso del 1889, la pietosa rimanenza della terra del trattato originale del 1868 venne divisa in sei piccole riserve nel Dakota del Sud. I Sioux vennero disarmati, privati dei loro cavalli, e confinati nelle riserve.

Prima del trattato del 1889, ai Sioux era stato promesso che le razioni di sussistenza previste dal patto del 1868 sarebbero continuate. Ma una volta ottenute le Black Hills, Washington non vide necessità di adempiere la sua parte dell'accordo estorto ai Sioux ed il Congresso tagliò subito le razioni della metà. Entro il 1890, le razioni promesse non arrivarono più del tutto. Diversi anni di scarsi raccolti misero in difficoltà i residenti euro-americani del Dakota del Sud; i Sioux prigionieri morivano di fame.

Confrontando l'annientamento assoluto, i Sioux avvertirono improvvisamente una rinascita religiosa. Un sant'uomo del Paiute chiamato Wovoka stava predicando una dottrina escatologica che combinava misticismo con elementi del Nuovo Testamento. Entro il 1891, profetizzò, il bisonte sarebbe tornato, i guerrieri morti sarebbero risorti a migliaia dalle loro tombe, e un grande vento avrebbe spazzato il governo dell'Uomo Bianco dalla terra.

Sino a quel momento, Wovoka insegnava, i Sioux dovevano mantenere la pace.

“Quando i vostri amici muoiono, non dovete piangere,” insisteva. “Non dovete far del male né nuocere a nessuno. Non dovete combattere. Fate sempre la cosa giusta. Vi darà soddisfazione in questa vita. Non parlate di questo alla gente bianca. Gesù è ora sulla terra.”

Piuttosto che resistere ai bianchi con la forza delle armi, Wovoka spiegava, gli indiani dovevano coprirsi con una speciale “veste della medicina” che li avrebbe protetti dalle pallottole, ed eseguire una “Danza degli Spiriti” per adorare il messia ed esprimere la speranza che il suo regno avrebbe presto prevalso.

Questa nuova religione – un genere di Sufismo indiano, senza la militanza che caratterizza la versione originale musulmana – diede ai Sioux disperati e affamati un senso di speranza e il principio di una nuova identità comune. Così, naturalmente, doveva essere soppresso con alacrità e severità.

Nell'ottobre 1890, Daniel F. Royer, un farmacista in disgrazia ed ex medico (la sua autorizzazione era stata revocata in California a causa di una tossicodipendenza) fu nominato agente indiano alla riserva di Pine Ridge. Non aveva esperienza negli affari indiani; la sua nomina era stata fatta per motivi puramente politici. Circa due settimane dopo, Royer spedì un telegramma dettato dal panico che chiedeva l'intervento militare di Washington e l'arresto dei capi Sioux.

Resoconti sensazionalistici di presunti complotti indiani saturarono l'aria ed annerirono le pagine dei giornali in tutto il paese. Royer ed altri agenti indiani pubblicarono ordini d'arresto per “istigatori” indiani con qualsiasi pretesto disponibile. All'inizio di dicembre, la Guardia Nazionale del Dakota del Sud, una milizia creata dal governatore Arthur C. Mellete meno di un mese prima, massacrò e scalpò in un'imboscata 75 Danzatori degli Spiriti Sioux.

Presto il 15 dicembre, un invecchiato Toro Seduto fu circondato da un'unità operativa di 43 agenti di polizia al comando del tenente Testa di toro, un indiano Quisling. Il Grande Capo era preparato ad arrendersi pacificamente, ma dopo che un grande gruppo Danzatori degli Spiriti si fu materializzato per protestare l'arresto non provocato ebbe un ripensamento. Quando uno dei Danzatori tirò fuori un fucile, uno dei poliziotti estrasse la pistola e sparò in testa a Toro Seduto a bruciapelo.

L'omicidio di Toro Seduto spinse il suo fratellastro, Bigfoot, a fuggire con la sua gente alla riserva di Pine Ridge in cerca di rifugio.

Bigfoot soffriva di una grave polmonite che gli faceva tossire sangue; i suoi stanchi ed emaciati seguaci – circa 120 uomini e circa due volte quel numero donne e bambini – non erano in condizioni molto migliori. Tuttavia il maggiore Samuel Whitside, che intercettò la grande banda di Bigfoot il 28 dicembre, insistette nel trattarli come forza militare catturata. Con le pistole puntate del Settimo Cavalleggeri – che manteneva l'amara memoria istituzionale della propria sconfitta a Greasy Grass/Little Bighorn – la banda fu portata ad un accampamento sulle sponde del Wounded Knee Creek, dove gli indiani dovevano essere disarmati.

Bigfoot ed i suoi seguaci erano circondati da due battaglioni di cavalleria; quattro mitragliatori rotanti Hotchkiss montati su carri, che potevano lanciare cariche esplosive fino a due miglia di distanza, erano stati posizionati con attenzione su un rilievo fuori dall'accampamento.

Subito dopo l'alba del 29 dicembre, l'esercito cominciò a raccogliere i fucili dei seguaci di Bigfoot. Con stanca rassegnazione, gli indiani cedettero gli unici mezzi indipendenti di ottenere del cibo, lasciandosi interamente alla mercé di un nemico capriccioso che aveva frequentemente usato la fame come arma.

Impaziente con il ritmo della raccolta delle armi, diversi contingenti di soldati si dispersero per l'accampamento, andando di tenda in tenda a confiscare tutte le armi da fuoco nascoste. Questo provocò una comprensibile protesta delle donne le cui dimore venivano violate.

Un giovane, un sordomuto chiamato Coyote Nero, si oppose quando venne il suo turno di consegnare il fucile. Tenendo il suo Winchester sopra la testa, questo giovane uomo – che non aveva commesso alcun crimine e non aveva minacciato nessuno – protestò che aveva pagato del buon denaro per il suo fucile e non aveva intenzione di consegnarlo. Fu assalito da parecchi soldati.

Poco dopo, un colpo lacerò il gravido silenzio, provocando il massacro che diventò inevitabile quando i Sioux disarmati caddero nelle mani di un vendicativo Settimo Cavalleggeri.

“Abbiamo provato a correre,” testimoniò la sopravvissuta Louise Weasel Bear, “ma ci hanno sparato come se fossimo bisonti.” Il malato ed impotente Bigfoot fu ucciso, il suo corpo tormentato dalla malattia abbandonato contorto in modo grottesco nella neve. Lo raggiunsero qualcosa come 300 dei suoi seguaci.

“Donne, bambini e infanti morti e feriti erano sparsi dappertutto ... dove avevano cercato di scappare,” ricorda Alce Nero, l'uomo medicina degli Ogalala, che arrivò subito dopo il macello. “I soldati li hanno seguiti lungo il burrone, mentre scappavano, e li hanno assassinati là dentro. A volte erano in mucchi perché si erano raccolti insieme, mentre altri erano sparsi dappertutto. A volte gruppi di loro sono stati uccisi e fatti a pezzi dove i mitragliatori [Hotchkiss] sui carri li hanno colpiti.”

Coloro che resistettero sopravvissero. Alce Nero ha raccontato come due giovani ragazzi avevano preso posizioni da cecchino uccidendo più soldati possibile: “Questi erano ragazzini molto coraggiosi.” Altri Sioux “lottarono con i soldati a mani nude finché non riuscirono a prendergli le pistole.” Un capitano dell'esercito chiamato Wallace fu circondato da un gruppo di madri Sioux e picchiato a morte con dei bastoni.

Ma questa non fu una “battaglia,” come venne chiamata per un secolo dopo l'evento. Fu un massacro di gente inerme ed innocente da parte dell'apparato omicida del Leviatano. Quando Alce Nero arrivò sulla scena, quello che vide non era un campo di battaglia, ma piuttosto “una lunga tomba di donne e bambini e infanti macellati, che non avevano mai fatto alcun male e stavano soltanto cercando di scappare.”

Quando i superstiti cercarono aiuto medico, scoprirono che la priorità era di medicare le ferite della manciata di personale dell'esercito che era stato ferito nel corso del massacro. Molti di loro perirono per l'abbandono e per le ferite non medicate. Per parecchi giorni la terra al Wounded Knee rimase cosparsa dei corpi dei morti. Il 3 gennaio 1891, i resti mortali delle vittime vennero raccolti e interrati in una fossa comune.

La spedizione militare che eseguì il massacro costò 2 milioni di dollari del 1890. Questo fornì un benvenuto “pacchetto di stimolo economico” per le comunità locali. Ma merita di essere ricordato che sarebbe costato appena una frazione di quell'importo fornire ai Sioux affamati le razioni erano state loro promesse dal trattato originale del 1868.

Ma Washington credette a quanto pare che la spesa supplementare fosse giustificata per ottenere la totale sottomissione degli un tempo temuti Sioux. Fornire al Settimo Cavalleggeri un'occasione per vendicare la sua sconfitta, e quindi rivendicare il potere della “stella dell'impero,” fu un dono inatteso .

Ancor oggi, l'esercito degli Stati Uniti espone fiero la “decorazione della battaglia” di quella che viene chiamata la “campagna” del Wounded Knee. Dozzine dei partecipanti a quell'atrocità – che può correttamente essere chiamata la Babi Yar americana – ricevettero la Medaglia dell'Onore del Congresso. Il monumento agli “eroi di Wounded Knee Creek” ancora esiste a Fort Riley, in Kansas.

Anche se chiuse il sipario sull'Era della Frontiera americana, Wounded Knee fu soltanto l'ouverture della carriera del Leviatano nella macelleria imperiale. Il percorso esterno della “stella dell'impero” è segnato da atrocità che mostrano una rassomiglianza familiare con quel massacro e le tattiche che condussero ad esso.

Solo pochi anni dopo, l'impero organizzò una campagna di contro-insurrezione che avrebbe condotto all'imprigionamento, la tortura ed il macello di decine di migliaia di filippini “liberati.” Alla fine della Prima Guerra Mondiale, Washington ed i suoi alleati usarono la stessa tattica che aveva avuto così successo contro i Sioux – schierare l'arma della fame per assicurarsi la sottomissione ad un trattato – contro la Germania imperiale sconfitta.

La “pace” draconiana che prevalse a seguito del blocco imposto dagli americani spinse al potere un movimento totalitario guidato da un piccolo austriaco pervertito che pensò che il trattamento degli indiani da parte di Washington fosse un modello adeguato per trattare con le razze “inferiori” in Europa.

Un secolo dopo Wounded Knee, lo stesso Leviatano americano che forzò la sottomissione dei Sioux con la fame impose un micidiale embargo all'Iraq che sarebbe durato più di un decennio uccidendo centinaia di migliaia di bambini. Dopo aver usato la fame e la negazione delle necessarie medicine per ammorbidire gli iracheni, l'impero – già impantanato in Afghanistan – ha lanciato un'invasione in Iraq.

E come nota Scott Horton di AntiWarRadio, dovunque l'impero schieri le sue legioni all'estero, il territorio non sotto il controllo imperiale viene definito “nazione indiana.” Con ottimismo del tutto ingiustificato, la maggior parte degli americani suppongono che questo si applichi soltanto all'estero. Ma ogni tanto – come a Waco o a Ruby Ridge – l'impero offre un sanguinoso promemoria per il fatto che Wounded Knee rimane il modello ufficiale per occuparsi di ogni resistenza, straniera o domestica che sia.

In un'affascinante intervista con Scott Horton, l'attivista indiano Russell Means descrive come il sistema americano delle riserve indiane sia stato l'incubatrice per i programmi totalitari di ingegneria sociale sia qui che all'estero. L'assoggettamento degli indiani americani, avverte, ha fornito il modello per l'espropriazione continua della classe media americana.

Mentre il sistema finanziario implode, agli abitanti del nostro paese de-industrializzato viene confiscato ciò che rimane della nostra ricchezza per servire gli interessi degli elementi più corrotti dell'élite di governo. L'aria è pregna di presagi di una imminente legge marziale per sopprimere ogni resistenza organizzata a questo saccheggio senza precedenti.

Sapremo che l'opzione Wounded Knee è sul tavolo quando i nostri governanti ci chiederanno ciò che ordinarono ai Sioux conquistati: la resa delle nostre armi da fuoco personali.

È un fatto glorioso che la cittadinanza privata americana possieda più armi da fuoco degli eserciti e delle forze di polizia del mondo intero. È questo fatto, e forse solo questo, che spiega perché il Regime che ci governa non ha ancora trasformato il nostro paese in una gigantesca riserva. Non dovremmo mai supporre che questo non possa cambiare in un attimo.

2 comments:

Anonymous said...

E questo non lo aggiungiamo al ricco repertorio?

http://mises.org/story/3155

:-D

Paxtibi said...

Me l'ero anche segnato, farò anche quello appena possibile. :-)